
Tra le peculiarità dei cittadini italiani rientra, senza alcun dubbio, la gestione del risparmio, parola, quest’ultima, sempre più complicata da traslare all’atto pratico data la significativa perdita del potere d’acquisto accusata dagli italiani negli ultimi tre lustri. Eppure, una fetta significativa di italiani riesce a risparmiare ogni mese. Un’attitudine che consente al nostro paese, nonostante l’elevato debito pubblico, di essere credibile agli occhi dei grandi investitori internazionali.
Questi risparmi, non di rado, vengono spesso canalizzati verso alcune differenti forme di investimento, che sono radicalmente mutate nel corso degli ultimi anni. Basti pensare, ad esempio, all’elevato numero di nostri connazionali che volgono lo sguardo ad altri paesi e decidono di investire a Dubai o in altre nazioni emergenti con significativo potenziale di sviluppo. Non c’è alcun dubbio, tuttavia, come la maggior parte dei cittadini del Belpaese opti per forme più “classiche”, che si tramandano di generazione in generazione: vediamo quali sono le più comuni.
Titoli di Stato
Le generazioni nate negli anni ‘70-’80 e, in parte, ‘90, si ricorderanno quante volte i propri genitori si siano recati in banca o allo sportello postale per investire i risparmi in titoli di stato italiani: BOT, BTP, CCT e CTZ sono stati gli assoluti protagonisti dell’allocazione finanziaria lungo tutto lo Stivale. E diversamente, ad onor del vero, non poteva essere. D’altro canto, i rendimenti offerti dai titoli del debito sovrano nazionale erano decisamente appetibili, spesso a doppia cifra, e hanno sostenuto le famiglie italiane nei loro progetti.
Rendimenti generosi, però, che non hanno fatto altro che aumentare il debito pubblico nazionale, alimentando l’attuale fragilità economica del nostro paese. I rendimenti dei titoli di stato italiani, poi, hanno subito un marcato calo dei rendimenti negli ultimi venticinque anni, nonostante, rispetto a quelli emessi da altri paesi europei, consentano di ottenere un rendimento maggiore, complice il rating non propriamente brillante della nostra nazione.
Il desiderio di investire a capitale garantito, però, anima la maggior parte dei cittadini del Belpaese. Ed il recente successo delle emissioni dei BTP Italia ne è la testimonianza più evidente. Gli italiani, però, hanno colto il significato di quanto sia importante la diversificazione in ambito finanziario. E la maggior parte di essi, nel proprio dossier titoli include altri asset oltre agli amati titoli di stato.
Fondi Comuni di Investimento
Nell’epoca dei “tassi zero”, che è durata quasi tre lustri, gli italiani sono stati costretti “giocoforza” a rivedere le proprie strategie di investimento. I titoli di stato, infatti, avevano perso il proprio appeal: per ottenere rendimento, quindi, bisognava spingersi su BTP di lunga durata, decisamente più sensibili all’andamento dei tassi (come, purtroppo, si è visto nel 2022) e alla speculazione sulla sostenibilità del debito pubblico italiano nel medio periodo.
Gli intermediari finanziari, di conseguenza, hanno proposto ancor più convintamente i fondi comuni di investimento, dove i risparmi degli italiani vengono gestiti da professionisti qualificati che attuano una significativa diversificazione in base alla tipologia di fondo. Oggi, grazie ai tassi positivi, anche i cosiddetti “fondi obbligazionari a breve termine”, ovvero quelli meno “rischiosi”, sono in grado di generare un rendimento positivo.
Tuttavia, la maggior parte dei risparmiatori opta per questa soluzione anche accettando un po’ di rischio (ovvero fondi bilanciati) o entrando progressivamente sul mercato azionario mediante i piani di accumulo, che consentono un ingresso costante per piccoli importi su asset maggiormente volatili.
Mattone
Seppur in inesorabile diminuzione, il “mattone” resta sempre un asset al quale volgono lo sguardo gli italiani. Non c’è alcun dubbio che le problematiche, rispetto alla fine del secolo scorso, lo rendono decisamente meno appetibile. Nella maggior parte del paese, infatti, i prezzi delle case sono aumentati significativamente, rendendo più ostico l’acquisto di un immobile al di là della “prima abitazione”.
Inoltre, la locazione degli immobili comporta rischi decisamente maggiori rispetto a un tempo: la precarietà lavorativa è certamente più spiccata rispetto a qualche lustro fa e alimenta il fenomeno delle insolvenze. Infine, la tassazione sugli immobili non adibiti a “prima casa” è particolarmente gravosa.